Con il conferimento dell’incarico professionale, si instaura tra cliente e professionista un rapporto contrattuale implicante una responsabilità contrattuale del professionista ai sensi dell’art. 1218 c.c. che nasce nel momento stesso in cui egli viene meno agli obblighi connessi all’attività esercitata, con il conseguente diritto del cliente al risarcimento dei danni subiti. A norma del secondo comma dell’art. 1176 c.c., tale inadempimento dovrà essere valutato avendo riguardo al contenuto dell’obbligazione del professionista ed al grado di diligenza da questo applicato nello svolgimento che dovrà essere conforme alla diligenza richiesta per la specifica attività svolta.
Se riferito all’attività del professionista infatti, tale criterio, ai sensi del secondo comma del citato articolo, prescinde dalla generale diligenza del buon padre di famiglia e deve parametrarsi alla tipologia di attività esercitata: secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’inadempimento del professionista deve desumersi solamente “dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata, ragion per cui l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine (…) circa il sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo” (Cass. Civ., sez. II, 11 agosto 2005, n. 16846, Cass. Civ. 12 settembre 1970, n. 1386, Cass. Civ. Sez. III, 09 novembre 2006, n. 23918, Cass. Civ. Sez. III, 13 gennaio 2005, n. 583).
Orbene, nel caso che affrontiamo, l’inadempimento contrattuale del notaio si ravvisa nella mancata informazione alla cliente riguardante il regime fiscale applicabile all’atto di compravendita che si accingeva a stipulare: tale atto infatti, avendo ad oggetto la cessione a titolo oneroso di un immobile prima del quinquennio dal suo acquisto, avrebbe realizzato una plusvalenza tassabile ai sensi del D.P.R. 917/1986, circostanza del tutto ignota alla cliente. Inoltre veniva omes
sa l’informativa circa la possibilità, ai sensi della L. 266/2006, di avvalersi dell’imposta sostitutiva del 20% da applicarsi alla plusvalenza realizzata, che avrebbe permesso alla cliente in primo luogo di evitare l’accertamento fiscale e le sanzioni da questo derivanti, e, in aggiunta, di beneficiare di un trattamento fiscale più favorevole.
Nell’obbligazione assunta dal notaio di rogare l’atto di compravendita immobiliare rientra, infatti, anche un preciso dovere di cura degli aspetti fiscali dell’atto medesimo, al fine di permettere al cliente di beneficiare del trattamento maggiormente vantaggioso. La sussistenza di tale obbligo è stata sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, la quale lo ha ritenuto parte integrante dell’incarico di redazione dell’atto notarile e pertanto sussistente anche in assenza di uno specifico incarico in tal senso (Cass. Civ. 26369/2014, Cass. Civ. 6/1994).
Rientra, infatti, nel contenuto essenziale della prestazione professionale del notaio un dovere di consiglio delle parti che deve avere ad oggetto tutte le questioni tecniche che una persona non dotata di specifica competenza al riguardo non sia in grado di percepire autonomamente. Il compito del professionista è pertanto quello di assistere e consigliare le parti avendo riguardo a tutti gli aspetti dell’atto pubblico che esse pongono in essere in sua presenza, finanche quelli accessori, in considerazione della funzione che assume e che lo qualifica non quale mero destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti (Cass. Civ. 7707/2007), bensì quale consulente delle parti, le quali si rivolgono a lui per la redazione degli atti pubblici e sulla cui competenza le stesse fanno affidamento non solamente per gli aspetti concernenti il raggiungimento dello scopo dell’atto, bensì anche per assicurarsi il rispetto degli obblighi imposti dalla normativa fiscale e per poter beneficiare dei suoi eventuali effetti vantaggiosi. Da ciò la giurisprudenza di legittimità ha fatto derivare una responsabilità del professionista, imputabile anche a titolo di colpa lieve, per le ipotesi in cui, con il proprio comportamento contrario al dovere di consulenza e di informazione connesso all’attività esercitata, abbia causato dei danni alle parti (Cass. Civ. 26369/2014).
Questo principio è da ritenersi a fortiori valido nel caso di specie ove l’informativa omessa non richiedeva l’effettuazione di complesse ricerche legislative ma consisteva nel notiziare la parte venditrice circa una normativa che deve pacificamente rientrare nel normale e minimo bagaglio di conoscenze proprie del notaio.
Tali obblighi accessori insiti nell’assunzione dell’incarico professionale trovano conferma e origine anche nei “principi di deontologia professionale dei notai” emanati dal Consiglio nazionale di Notai a norma dei quali, nell’eseguire la propria prestazione il professionista deve porre in essere “tutti i comportamenti necessari per l’indagine sulla volontà delle parti, da svolgere in modo approfondito e completo, mediante proposizione di domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della determinazione volitiva”.
D’altra parte, in giurisprudenza, molteplici sono le pronunce che hanno ravvisato una responsabilità del notaio per violazione dell’obbligo accessorio di informazione al cliente, anche con specifico riguardo alla consulenza fiscale (Cass. Civ. 309/2003, Cass. Civ. 541/2002).
Conseguentemente, può ravvisarsi la violazione dell’obbligo di cui al comma 2 art. 1176 c.c. in tutti i casi in cui il notaio non svolga un’adeguata consulenza, supportata da adeguata ricerca legislativa, al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole.
Nel nostro caso, se il notaio avesse provveduto ad informare correttamente la Cliente circa il regime fiscale previsto per le cessioni a titolo oneroso di immobili prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto, la stessa non avrebbe subito un accertamento fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate in quanto si sarebbe determinata a non effettuare il negozio in quel momento ma ad attendere il decorso del quinquennio che sarebbe avvenuto solo undici mesi dopo, accordandosi in tal senso con il promissario acquirente. In ogni caso, la ricorrente, adeguatamente informata, non si sarebbe resa inadempiente ai propri obblighi fiscali ed avrebbe così certamente evitato di incorrere nella sanzione amministrativa.
Peraltro, è opportuno evidenziare l’orientamento assunto dalla Suprema Corte in merito all’onere della prova in caso di domanda di accertamento dell’inadempimento e risarcimento del danno da parte del professionista intellettuale. Con una serie di pronunce, finanche a Sezioni Unite, la Corte ha statuito che “il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale (…) è identico sia che il creditore agisca per l’adempimento dell’obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che domandi il risarcimento per l’inadempimento contrattuale, ex art. 1218 c.c.” (Cass.Civ. SSUU 15781/2005). Conseguentemente, anche in presenza di un’obbligazione del professionista, al fine di farne accertare l’inadempimento ed il conseguente obbligo risarcitorio, il creditore dovrà dare solamente la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto – nel caso di specie l’affidamento dell’incarico di redigere l’atto notarile – e del danno subito – la sanzione da parte dell’Agenzia delle Entrate subita a causa dell’omesso versamento delle imposte relative alla plusvalenza – e limitarsi alla mera allegazione dell’inadempimento di controparte. Competerà poi al professionista, in quanto debitore, dimostrare l’inesistenza dell’inadempimento (Cass. Civ. SS.UU. 577/2008, Cass. Civ. SS.UU. 13533/2001).
In esito a tali principi, pertanto, il Tribunale di Torino, con l’Ordinanza che si allega, condannava il Notaio professionista a risarcire il danno alla cliente, rappresentata e difesa dall’Avv. Grande.