LE SPESE LEGALI STRAGIUDIZIALI NELLA RCA
LE SPESE LEGALI STRAGIUDIZIALI NELLA RCA a cura dell’Avvocato Luca Bonjour La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 11154 del 20.02.2015, depositata in data 29.05.2015, ha avuto modo di...
Avv. Luca Bonjour - Avv. Luca Grande
L’AUTONOMA RISARCIBILITÀ DEL DANNO MORALE
(Corte Cass., Sez. III Civ., sentenza del 20.01.2015 n. 811)
a cura dell’Avvocato Luca Bonjour
Con le c.d. “sentenze di San Martino” (sent. Cass. SS.UU. nn. 26972/3/4/5 del 2008), i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ridefinito il concetto di danno non patrimoniale, sussumendolo in una categoria generale non suscettibile di frazionamenti: in tale contesto, tuttavia, il danno morale è considerato ancora come parte integrante del danno biologico, difettando, quindi, il riconoscimento dell’autonomia del primo rispetto al secondo.
Sul piano processuale, una simile impostazione comportava ancora l’esclusione della richiesta di condanna al risarcimento di entrambi i pregiudizi, in quanto la stessa era intesa come ultronea duplicazione di una medesima voce.
Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale si è evoluto nella direzione di un riconoscimento dell’autonomia ontologica del danno morale rispetto a quello biologico: il danno biologico, inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica di un soggetto; il pregiudizio morale, definito come turbamento dell’animo ed insieme di sofferenze patite dall’individuo.
La prima sentenza che ha decretato tale autonomia ontologica è stata la n. 24082/2011 della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione.
I giudici di legittimità sono stati chiamati in causa per rovesciare la decisione adottata dalla Corte di Appello di Catanzaro in merito alla vicenda di un padre che aveva perso la figlia a seguito di un sinistro stradale. Il giudice calabrese aveva respinto la richiesta di risarcimento del pregiudizio morale subito, non riconoscendo al ricorrente il c.d. danno morale riflesso da morte di un congiunto. La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha invece statuito che il danno morale riflesso può essere individuato ed identificato indipendentemente dall’ esistenza dell’insorgere di una patologia (come, al contrario, sosteneva il giudice di merito).
Secondo la Suprema Corte, il danno morale trova causa diretta ed immediata nel medesimo fatto dannoso (l’incidente mortale), mentre la prova del pregiudizio riflesso può essere dedotta dal vincolo familiare di coabitazione che i congiunti avevano con la vittima. In tale maniera, è stata fortemente sottolineata l’autonomia del danno morale, pur in assenza di una specifica offesa di tipo biologica.
Lo svincolo del primo elemento da quello biologico è stato infine ribadito dalla recente sentenza n. 811 del 2015.
La Cassazione è stata chiamata a giudicare il caso di un ragazzo travolto a bordo del suo ciclomotore da una cisterna; in sede di Appello, i congiunti del giovane si erano visti ridotti l’entità del risarcimento del danno morale, in quanto quello biologico risultava essere di lieve consistenza. I congiunti del ragazzo, nel ricorso presentato alla S.C., adducevano una falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. da parte del giudice di merito in ordine al quantum del pregiudizio morale patito.
La Corte di Cassazione, ribaltando il precedente esito decisionale, e richiamando apertamente le storiche sentenze di San Martino del 2008, ha stabilito che la valutazione del danno morale, inteso come entità autonoma, deve essere effettuata caso per caso, senza che il pregiudizio biologico funga da riferimento assoluto e necessario. La quantificazione della lesione morale subita prescinde in toto da quella relativa al danno biologico: se questo risulta essere lieve, pertanto, non significa che l’altro tipo di pregiudizio non debba essere valutato autonomamente, e che non possa essere rilevante.
Qui di seguito viene riportato il testo della sentenza n. 811 del 20.01.2015 della Corte di Cassazione, sezione terza civile:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSEPPE MARIA BERRUTI – Presidente
Dott. ANNAMARIA AMBROSIO Consigliere PU
Dott. GIACOMO TRAVAGLINO Rel. Consigliere
Dott. PAOLO D’AMICO – Consigliere
Dott. ENZO VINCENTI – – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 26968-2008 proposto da:
SM CD CC elettivamente domiciliati in ROMA, VIA <…> presso lo studio dall’avvocato <…>, rappresentati e difesi dall’avvocato <…> giusta procura speciale ricorso; – ricorrente –
contro
Generali SPA nella qualità di Impresa designata alla gestione dei sinistri a carico del Fondo di garanzia per le Vittime della strada in persona dei legali rappresentanti Dott. <…> Sig. <…> elettivamente domiciliata in ROMA, VIA <…>, presso lo studio dell’avvocato <…>I, rappresentata e difesa dagli avvocati <…>,<…> giusta procura speciale a margine del controricorso; – controricorrente –
avverso la sentenza n. 2089/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/05/2008, R.G.N. 5094/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dei. 26/05/2014 dal.. Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato <…> per delega ;
udito il P.M. persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per l’inammissibilità.
I FATTI
D C, la moglie M S e la figlia C c convennero dinanzi ai Tribunale di Nola le Generali Ass.ni in qualità di impresa designata per il FGVS, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte di GC figlio e fratello degli istanti, investito da una autocisterna rimasta non identificata mentre era alla guida dei proprio ciclomotore.
Il giudice dì primo grado accolse la domanda, ritenendo l’ignoto camionista responsabile dell’incidente nella misura del 70% e condannando conseguentemente la compagnia assicuratrice al pagamento della complessiva somma di circa 354 mila euro in favore degli attori.
La Corte di appello di Napoli, pronunciando sulle impugnazioni, principale e incidentale, hinc et inde proposte, le accolse entrambe in parte qua, riducendo, da un canto, l’importo risarcitorio ad E. 171.379, liquidando, dall’altro, in favore dei familiari della vittima le spese di lite del primo grado in misura di circa 5500 euro.
La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata dai C con ricorso sorretto da motivi 3 di censura illustrati da memoria.
Resiste la Generali s.p.a. con controricorso illustrato a sua volta da memoria.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato quanto al suo terzo motivo.
Con il primo motivo, si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria con erronea valutazione delle risultanze istruttorie.
La censura è inammissibile, volta che essa non risulta in alcun modo corredata dalla sintesi espositiva dei fatti di causa, come previsto dall’ art. 366 bis c.p.c. applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza d’appello depositata nel vigore del D.lgs. 40/2006.
L’esposizione del denunciato vizio di motivazione non tiene conto, difatti, di quanto più volte affermato dal giudice di legittimità sul tema della sintesi necessaria per il relativo esame, tema affrontato dalle stesse sezioni unite di questa Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. Ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Si è così affermato che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto (cd.. “quesito di fatto”) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Tale momento di sintesi, formulato in veste di quesito di fatto, nella specie risulta del tutto omesso, in aperta violazione della norma in parola.
Con il secondo motivo, si denuncia mancato riconoscimento del danno biologico iure proprio alla ricorrente S M Contraddittoria motivazione. Violazione di legge.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto: Accertata la sussistenza di un danno biologico e rilevata la impossibilità, per qualsiasi motivo (premorienza, incapacità, pazzia, depressione) di procedere ad accertamento medico-legale sulla persona, deve il giudice di merito procedere alla valutazione equitativa del danno?
Il motivo – prima ancora che del tutto infondato nel merito, attesa la chiara definizione legislativa di danno biologico in guisa di lesione medicalmente accertabile – è inammissibile in rito.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Casa. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica (quale risulta quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata – o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, una norma di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza di una astratta violazione di legge.
Con il terzo motivo, si denuncia determinazione della misura del danno morale subito dalla vittima in rapporto al danno biologico. Insufficiente e contraddittoria motivazione.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c..
La censura è corredata dalla seguente sintesi espositiva (contenuta al folio 9 del ricorso), da ritenersi tale sul piano contenutistico (nonostante l’assenza di una specifica evidenziazione grafica).
Ricorrono numerosi casi in cui, pur non sussistendo un significativo danno biologico, sussiste invece un rilevante danno morale, ragione per la quale la valutazione del danno morale va operata caso per caso e senza che il danno biologico possa essere un riferimento assoluto. Il caso che occupa rientra tra quelli nei quali il danno morale è altamente significativo anche in presenza di un danno biologico lieve o da liquidarsi in misura lieve.
Il motivo è fondato.
Con esso si chiede al collegio la riaffermazione e la enunciazione di un principio di diritto del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che, con le sentenze a sezioni unite dell’11 novembre 2008, ha evidenziato, con specifico riferimento a casi come quello di specie, come il danno derivante dalla consapevolezza dell’incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima.
A tali principi non si è attenuta la Corte territoriale, che ha quantificato il risarcimento di tale voce di danno liquidando agli aventi diritto una cifra correttamente definita da parte ricorrente “del tutto irrisoria”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in altra composizione.
Così deciso in Roma, li. 26.5.2014
IL CONSIGLIERE ESTENSORE